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The Italian Jobs / Federico Buffa incontra Marco Boglione
SKY - Sky Sport 30/03/2023 
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Robe di Sport

Una storia italiana bellissima e poco conosciuta che racconta di un visionario che ha capito Internet prima che fosse Internet, il market place prima che ci fosse Amazon, il mondo delle sponsorizzazioni sportive prima che esistessero, o quasi: Marco Boglione, un imprenditore rivoluzionario, non a caso appassionato e collezionista di quelli che la rivoluzione, informatica, l’hanno fatta, nella Silicon Valley. Federico Buffa dialoga con lui per ripercorrerne insieme la vicenda umana, attraverso la chiave sportiva che ha accompagnato in quasi cinquanta anni il suo modo di essere imprenditore, il modo nobile di concepire quel ruolo prima di tutto come creativo e rivoluzionario.

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Testo Intervista

Tra le tante storie italiane, sorprendentemente belle e poco conosciute, che spesso aspettano solo di essere raccontate, c'è anche quella di un uomo che col suo lavoro ha cambiato il modo di vestire lo sport. Un visionario che ha compreso Internet prima che fosse Internet, il Marketplace prima che ci fosse Amazon, il mondo delle sponsorizzazioni sportive prima addirittura che esistessero, o quasi.

Un imprenditore rivoluzionario, non a caso appassionato e collezionista di pezzi unici, provenienti per lo più dai garage di quelli che la Rivoluzione Informatica l'hanno fatta per davvero, al di là dell'oceano, nella Silicon Valley.

Eppure, la storia di questo italiano piuttosto improbabile, che oggi è fondatore e presidente di BasicNet, ha radici tricolori assolutamente solide e barbicate ai piedi della Mole, da cui si è spesso allontanato, ma mai con l’idea di non tornare più. Come quando, da ragazzino dislessico, chiede alla famiglia di andare fuori a studiare, e mentre i coetanei si sbracciano allo stadio per tifare il cabezon Omar Sivori, lui strappa un biglietto per il collegio dove il suo beniamino Fratel Roberto gli legge un articolo sul primo chip che cambierà il mondo poco prima che Microsoft stia per arrivare.

Ma, a diploma ottenuto, quando sembrerebbe attenderlo un destino da assicuratore e una laurea al Politecnico, ecco il secondo incontro che gli cambia la vita, con un altro genio dell’imprenditoria italiana.

Parte quindi da lì una delle tante vite di Marco Boglione, che abbiamo incontrato tra le mura dell'ex azienda del suo mentore, un vero e proprio Village con la V maiuscola, recuperato e riavviato negli anni '90.

Una storia che parla di Robe di Sport e di rivoluzioni fatte per l’unico vero motivo per cui si dovrebbero fare: per provare a cambiare il mondo segnando il passo per chi poi verrà. Oggi è cittadino onorario di Cupertino, in America, proprio là dove già negli anni '70 aveva visto cambiare il futuro, il suo, ma non solo.

Io considero gli anni '70 molto sottovalutati perché hanno la sfortuna di essere tra i favolosi anni '60 e i liberi anni '80. Se andiamo a vedere quanti imprenditori che hanno cambiato la storia dell'umanità si sono formati a metà degli anni '70, il più facile di tutti è Bill Gates che tra l'altro nomina l'azienda in un modo e poi passa a Microsoft… direi che ce n'è una lista che non finisce più. Qual è la tua visione di quel periodo della storia?

È un periodo della storia in cui si è tentato il tutto per tutto per fare la famosa rivoluzione iniziata nel '68. E quindi diciamo che dopo i vari attempt, tentativi, politico col Che Guevara, Castro, o più liberi e amorevoli nel contesto della guerra del Vietnam, fate l'amore non fate la guerra, fino ad arrivare a Woodstock, tutte queste libertà che erano in America, hanno cominciato a votare le donne in quel periodo, si era un po' come dire, la mia lettura è che quella rivoluzione, quel tentativo di rivoluzione, da una parte con Che Guevara che veniva ammazzato e quindi c'era una resistenza dei poteri forti e dall'altra parte perché tutti questi ragazzi alla fine non sapevano tanto dove andare, sono spuntati dei ragazzi che hanno detto facciamo gli imprenditori.
La mia lettura è stata quella che hanno detto se vogliamo fare la rivoluzione bisogna farla nei confronti del potere, dobbiamo diventare più potenti dei potenti e poi così cambiamo le cose.

Quando è la prima volta che sei andato negli Stati Uniti?

Sono andato negli Stati Uniti, curioso, nel '77, ma con questo Maurizio Vitale che era un po' il mio fratello maggiore, il mio papà, il mio mentore, per cui già lavoravo ma da pochi mesi, che mi ha voluto portare negli Stati Uniti per vedere il primo ristorante al mondo dove si mangiava con le mani, ma non mi ha detto McDonald's.
Ti voglio portare in un ristorante pazzesco, sono capitato per caso l'altra settimana che lui andava su e giù spesso.

In che posto eravamo?

Era in New York, nella seconda strada, il primo McDonald's di New York.

Due aiuti per chi ci sta ascoltando, com'era l'America del 1977 e chi è questo signor Vitale, che ho notato deve essere importante perché siamo in Largo Vitale…

L'America degli anni '70, quella che ho scoperto io era l'America con la K, era il sogno americano, c'era tutto, c'era tutto, e anche c'era una percezione di libertà molto superiore alla nostra, incredibile anche di democrazia. Quindi all'America proprio non mancava niente, eravamo nel pieno della guerra fredda, dove sì, si capiva già che c'era un grandissimo vantaggio, che poi sai le guerre le fai sui punti di forza, e quindi gli americani erano anche forti nella politica internazionale, e quindi era l'America più America che non si è mai vista, l'America che poi per noi è stata importantissima, è stata quella che ha sdoganato l’abbigliamento informale prima, e quello sportivo dopo.

Il Signor Vitale è stata la manifestazione reale del film "Slide in the house" per me, perché un giorno io languivo all'università, perché quel collegio... le cose erano andate bene, quel prete, semi prete, mi aveva preso in grandissima simpatia, aveva fatto una battaglia personale pazzesca per farmi dare un gran voto,  contro anche il parere di tanti altri educatori che dicono "sì è bravo però ma non è così bravo", invece l'altro dice "no, bisogna dargli un gran voto", mediarono sul 58/60, cosa che io quando chiamai in collegio da Alassio per sapere se ero passato alla maturità, perché il mio problema era quello, credetti che mi stessero prendendo in giro, ma veramente poi lo credete anche mio padre, solo che poi mio padre dice "no, non ti hanno preso in giro, allora sei guarito, puoi fare ingegneria". Solo che io ingegneria era proprio l'ultima delle cose che volevo fare; quindi, dopo due anni non sognavo e questo io l'ho detto tante volte riguardo a me, quando io non sogno parte il countdown, non ci sto dentro, non posso pensare di non sognare, di non vivere immaginando, e quando sei in una scatola chiusa non riesci a immaginare. Ero in quella situazione non piacevole in cui mi sono trovato qualche volta nella vita, compreso quando ho detto a mia madre "mandami in collegio" e poi altre volte, e lì ho incontrato Maurizio Vitale. Ho incontrato Maurizio Vitale una sera per caso in una camera che condividevamo, in un appartamento in montagna, lui era in un momento un po' complicato perché si stava separando dalla sua prima moglie, i figli piccoli, non dormivamo e lui nel buio mi dice, non mi conosceva, ma tu da piccolo cosa volevi fare da grande? E io dico sicuramente da piccolo volevo fare il fotografo. E lui mi dice: cosa fai adesso? Studio ingegneria. Accende la luce, mi dice: ma sei scemo?
E di lì è cominciata la nostra storia che è durata fino a quando è morto e continua a durare… largo Maurizio Vitale, i figli di Maurizio lavorano con me, lavoriamo insieme da tanti anni, due su tre, magari uno tornerà, ed è nata questa storia. Il giorno dopo, questo brillantissimo ragazzo che era giovanissimo ma famoso, era il padrone delle Robe di Kappa della Jesus Jeans, lavorava per Toscani, facevano queste pubblicità pazzesche e andiamo a sciare, incontra un suo amico e gli dice: ti presento il nuovo direttore marketing della Jesus Jeans. Questo è pazzo completo, comunque ho lavorato con lui per 10 anni.

Io negli Stati Uniti sono andato l'anno dopo il tuo, all'epoca non lo ritenni un viaggio nello spazio ma un viaggio nel tempo, cioè oggi andare negli Stati Uniti non credo sia così traumatico per un 17enne, 18enne italiano, all'epoca era sinceramente entrare in un'altra dimensione, hai avuto, immagino, la stessa percezione.

Sì.

Che cos'è la cosa che ti ha colpito più? La libertà individuale, si esprimevano di più?

Mi sembravano tutto di più, mi sembravano più avanti, più belli, più buoni, più ricchi, più...

Più ricchi di sicuro.

Si, tutto che funzionava, mi ricordo che c'era già qualche mio amico, forse un po' più grande, che mi diceva "Guarda che non è tutto oro, quello che luccica", per me luccicava tutto, tutto. Erano belli, alti, biondi, ricchi, con gli occhi azzurri, con le macchine lunghe, con le belle ragazze, con tutti che correvano a Central Park, negozi stupendi, elettronica in Fifth Avenue, Jason Fifth Avenue: il mio riferimento in America, atterravo, andavo lì perché vedevo tutto quello che era uscito il primo giorno.

Ovviamente, si vedeva tutto prima. Quindi prendiamo questi tardi anni '70, assumendo che sulla Quinta di New York tu vedi delle cose che da noi non ci sono. L'italiano creativo pensa "E se? E se noi prendessimo, aderissimo, mettessimo assieme?" Che cos'è che hai visto lì che poi possiamo vedere adesso?

Ma innanzitutto va detto che noi andavamo con una certa regolarità, quella era la prima volta, ma poi si sono susseguite altre volte, a vedere quello che succedeva nel nostro settore, non c'era internet e si sapeva che le tendenze arrivavano quasi tutte dall'America da quando è arrivato il jeans. E poi sono arrivate anche tante cose, i Camperos, la t-shirt, la jacket, compagnia bella… e noi andavamo lì.
E incontravamo tutti i nostri colleghi, non miei, ma di Vitale, Luciano Benetton, Marco Marsaglia, eravamo tutti lì e facevamo le collezioni, perché là arrivava tutto comodamente poi dopo. Adesso è tutto in tempo reale.
La tendenza oggi gira al mondo in 4 ore, 4 ore sono proprio il differenziale di quando dormono, poi appena si svegliano tutti, ha girato e se c'è da lanciare una nuova tendenza in 4 ore…

La prima cosa che hai visto è che tutti indossavano i jeans?

No, quello l'aveva visto Vitale qualche anno prima, nel '70, con Toscani, e Toscani gli aveva detto "tu devi fare il jeans, qui tutti vogliono il jeans, perché è un fatto culturale, non è un indumento, vogliamo il jeans per far vedere che la pensiamo in un certo modo, ci facciamo crescere i capelli, facciamo quelle robe".

E Vitale gli ha detto ingenuamente nel '70, "ma come lo chiamiamo il jeans?" E stavano passando in Broadway sotto Jesus Christ Superstar. E Toscani sempre con quel suo fare molto ironico, molto superiore a tutto, "eh… come vuoi chiamarlo, chiamalo Jesus Jeans".

E l'altro gli dice "perché Jesus Jeans?"

"E perché Jesus è un nome che conoscono già in molti", gli dice lui, "è un bel nome, lo conoscono già in molti". Fatto sta che così nasce la Jesus Jeans.

Quando sono andato io in America, stava finendo un po' il jeans, e quindi quello che io ho proprio notato in uni di quei viaggi di lavoro che facevamo, che ha proprio data e luogo, è una vetrina di un negozio strano che si chiamava Athlete Foot, che mischiava abbigliamento e scarpe sportive, ma anche da non utilizzare per lo sport sostanzialmente. lo guardammo, Vitale non colse subito, e io gli dissi, perché noi vivevamo di ginseria ai tempi, come quelli che fanno latte delle latterie, che adesso sono sparite le ginserie, ma nei nostri tempi si andava in ginseria, c'erano le porte aperte, la musica alta, le commesse ti davano del tu, se no non era una ginseria. Quindi dissi questa era la ginseria del futuro.

Riassumendo, tu hai la sensazione che sia in corso una rivoluzione culturale e tu associ il concetto di rivoluzione a un'idea di liberazione, crescita di libertà?

La rivoluzione si fa solo per una cosa, le guerre si fanno per tutte le altre cose; quindi, la rivoluzione si fa sempre e solo per la libertà, se non c'è la libertà come oggetto di conquista, non è una rivoluzione.

Quindi la rivoluzione è: non c'è bisogno di fare sport per indossare qualcosa che ti dia l'idea di sport?

Si, diciamo che la rivoluzione parte un po' prima, quando parte banalmente, il “mi voglio vestire come cavolo mi pare”, 10 anni dopo il 78.

Che è anche l'anno del Mondiale d'Argentina però.

È anche l'anno del Mondiale d'Argentina, è l'anno, se vuoi, dove io che nel 68 avevo 12 anni, non ero neanche ancora in collegio, quindi ero troppo piccolo per capire cosa stava succedendo, invece nel 78 ne avevo 22, e sostanzialmente avevo capito che era finita quella rivoluzione perché si l'avevo vissuta o non vissuta, ma era over, era nostalgico, basta, volevamo i maschietti vestirsi come maschietti, le femminucce come femminucce, riutilizzare i colori, chi voleva tagliarsi i capelli, incominciavano i primi satelliti, quindi la prima televisione globale, si vedevano questi eventi sportivi che erano degli spettacoli pazzeschi, il clou è stato a Los Angeles nell'84, quindi lo sport è entrato nel costume, è uscito dal campo ed è entrato nel costume, tanto quanto il jeans.

Giusto.

Ecco.

Però lo sport è praticato da uomini e donne e tu nel '78 insieme a Vitale, vedi qualcheduno che è più originale di altri mentre stai vedendo la partita dell'Italia, immagino.

Sì, lì devo dire onore al merito, all'Italia. Per questo, per tante altre cose, è un po' tutta farina del suo sacco. Io lo avevo stimolato a pensare allo sport come il dopo jeans, il dopo unisex, il dopo barricate, il dopo rivoluzione, quella vera. E lui nel '78 una sera guardando ... c'era Cabrini che era la notizia sui telegiornali per la quantità delle lettere che riceveva dalle fans ed era diventato il bell'Antonio. Tutti avevamo scritto e ci siamo divertiti molto su questa cosa, anche lui, e Vitale che non era un appassionatissimo di calcio, guardò quella partita sentendo il commentatore che commentava anche questa, questa cosa di costume simpatica, che Cabrini... E diceva: "Bell'Antonio". Lui guarda tutta la partita e alla fine della partita non dice niente, spegne la televisione e dice: "Quella è una rockstar".

Letterale?

Letterale. Quello è una rock star.

I calciatori fino allora non erano rockstar, erano Sivori, Cuccureddu, Furino, cioè dei super professionisti, ma insomma, le rockstar erano diverse.

Erano gli attori che dominavano la scena.

Sì, attori e Rockstar.

Sì.

Sì, le rockstar in quel periodo andavano forte.

Sì, quindi... Erano un'altra cosa. Invece questo qua, per qualche motivo, a lui che non segue tanto il calcio ma segue diciamo le fisionomie umane.

Aveva visto i telegiornali, ovviamente quindi sapeva che c'era Cabrini, aveva guardato secondo me la partita solo per vedere Cabrini, ha sentito quello che dicevano i commentatori di Cabrini, ha chiuso la televisione...

Ma se lo tiene per sé e a te non dice niente.

No, no, no. No, lo dice ad alta voce.

No, ma cosa avrebbe fatto

Non mi dice niente, non mi dice niente e ci alziamo. Era tardi. La sera, sarà stata mezzanotte, con degli amici. Andiamo tutti a casa. Il giorno dopo in ufficio non c'è Vitale, oh, che strano... Dov'è Vitale? Arrivava sempre tardissimo. Invece aveva preso l'autista ed era andato a Malpensa, qualche giorno dopo, ad aspettare la Nazionale italiana che nel frattempo era stata esclusa dalle fasi finali.

No, aveva perso la semifinale con l'Olanda.

Ha perso la semifinale. A un certo punto torna a casa, torna a casa, sparisce Vitale che va alla Malpensa, conosce il padre, la madre di Cabrini e gli fa un contratto.

Come fa a conoscerlo?

Erano tutti lì, ma sì: "Chi è, o conosci il padre di Cabrini?"... No, c'era un tuo collega, un giornalista, un certo Tavarozzi ... Andiamo da Cabrini e Vitale, Cabrini, il papà tutti quanti ed effettivamente è stata un po' una cosa storica un calciatore giovanissimo testimonial di cosa? Della Robe di Kappa. Robe di Kappa era un po' il marchio nazional popolare, quindi era bello. È stato bene anche alla famiglia di Cabrini.

Kappa derivava da un'altra azienda preesistente a Torino.

No, no, no. No, sempre la stessa azienda dal 1916, che dal 1916 al 1956 produce calze, mutande e canottiere per lo Stato, l'esercito, il Ventennio e attraverso due guerre e le chiamava "Aquila". Ovviamente. Nel '56 l'azienda, quindi il papà di Vitale, cercava un nuovo marchio perché Aquila era un po' troppo evocativo di una roba che non piaceva più a nessuno. E allora, nel frattempo che ci pensano? Esce una collezione, consegnano una partita di calze dell'Aquila che hanno un problema serio di produzione, devono ritirare tutto e cambiare. Ma la distribuzione, i clienti erano un po' insospettiti, dice: "Magari sono di nuovo rotte l'anno dopo". Allora l'azienda decide di mettergli un bollino sopra rosso con una C e dici: "Perché gli ha messo quel bollino? Gli ho messo quel bollino perché così gli scrivo sotto - controllato - e tutti sanno che le calze sono state controllate per il problema dell'anno scorso". L'agente di Napoli dice: "Dotto' non glielo scriva in italiano, perché nessuno ci crede. Lo scriva in tedesco, Kontrolle, ci crederanno tutti che sono state ben controllate". E lui scrive anziché la "C", scrive la "Kappa". L'anno dopo i venditori, in primis quello di Napoli, che la campagna era andata bene, la qualità era buona, dice: "Noi vogliamo quelle con la kappa", tre anni, le calze con la kappa, al 4º anno... Kappa. Fine dell'Aquila.

INSERT OLIVIERO TOSCANI: Mentre guardavo il cortile, vedo entrare una una Ferrari rossa. Esce sto ragazzo. Dopo 3 minuti me lo vedo arrivare li in studio Quest'aria lì, con quella faccia un po' scanzonata. Gli dico: "Ma cosa vuoi"? - "Vorrei fare il fotografo. Io vorrei imparare da te". - "Ma cosa fai se no"? - "Non faccio niente, perché mi hanno isolato dall'azienda di famiglia. Si chiama Robe di Kappa a Torino è Robe di Kappa, Sì, sì, quella che fa i calzini, le magliette della salute, non le t-shirt, le magliette della salute". Molto divertente. Uno che arriva e si è presentato così, mi ha subito interessato, un ragazzo sveglio. Gli ho detto: "È meglio che ti fai... È meglio che ti curi l'azienda" e lui dice: "Ma cosa devo fare"?. Gli dicevo: "Fai i blue jeans". "I blue jeans? Uè picio, i blue jeans? Lì fanno le magliette del nonno. Arrivo, gli dico faccio blue jeans, impazziscono". Non volevamo una cosa normale.

Vent'anni dopo, a forza di mutande, calze e magliette per l'esercito, l'azienda non andava tanto bene, però sempre quel Vitale ha un'altra delle grandi intuizioni, come poi, dopo quella del jeans, va a Parigi e in albergo, la sera vede John Lennon con una maglietta militare di un tenente americano giovanissimo, morto in Vietnam. Il giorno dopo va al mercato delle pulci a Parigi con il suo amico Jean-Charles de Castelbajac, proprio suo amico, non faceva neanche lo stilista, voleva farlo, e vede che tutti comprano surplus militare. Viene in azienda, torna a Torino, dove l'azienda non andava bene, perché a forza di mutande e calze per l'esercito e decide di provare a tingere delle canottiere dei militari di verde, di comprare dei gradi e di metterli a casaccio su queste magliette: è stato un successo pazzesco, tale che il vecchio presidente dell'azienda, chiama Vitale, gli dice: "Maurizio - che era un po' il suo papà acquisito - Va tutto bene, stiamo evitando il fallimento, quindi sei un genio. Ma come le chiamiamo queste robe"? E lui testualmente gli risponde: "Dottore, le chiami come vuole, le chiami Robe di Kappa", perché erano le magliette della Kappa, tinte di verde, coi gradi. Il grande successo: "Le chiami come vuole, a me non interessa". Capisci, questo è stato.

Questa la diamo "passata in giudicato". A Cabrini, Vitale Che cos'è che dice. Alla rockstar

A Cabrini, in America a Vitale gli dico io quella volta: "Guarda che questa è la jeanseria del futuro". Andiamo a Central Park, perché lui aveva visto i jeans a Central Park e effettivamente Vitale dice: "Caspita, corrono tutti, hanno tutti una strana cosa con le cuffie - che era il walkman appena uscito - e in più indossano non più i jeans, indossano le tute". E mi dice: "Fai la linea sportiva". Facciamo la linea sportiva della Robe di Kappa. Infatti la Kappa, quella di oggi, nasce come Robe di Kappa Sport, tanto quanto Prada Sport, Gucci Sport. Noi diciamo: "Facciamo la linea sportiva, perché crediamo che ai giovani interessi lo sport", facciamo la linea sportiva e e però come la pubblicizziamo? La Robe di Kappa che erano tutti baci, la polo di lui, la polo di lei, tutto '68. Come facciamo a farla diventare sportiva? Lui vede in primis Cabrini e dice: "Questo qui è un giusto mezzo", quindi noi prendiamo Cabrini e lo usiamo come un modello. Per i primi un anno e mezzo, due, Cabrini faceva il modello con una modella professionista. Era bellissimo, era un modello stupendo, ma tutti lo guardavano. Quello Cabrini capisci? Noi l'abbiamo usato. Mi ricordo. Abbiamo fatto degli shooting a Imperia e shooting in tutta Italia, ma era un modello, però aveva la faccia che tutti conoscevano. Poi un giorno questo con Vitale, devo dire, quello è stata un'altra mia boutade, perché gli dico: "Guarda, il modo migliore per pubblicizzare gli omini, Maurizio, se lo vogliamo vedere è metterli sulla maglia della Juventus e chiusa la partita". Allora questo Tavarozzi dice a Maurizio... Ma noi conoscevamo... è vero a Torino si conoscono tutti, ma Tavarozzi ci porta da Boniperti e lì vado anch'io. E Maurizio Vitale deve convincere Boniperti a far mettere gli omini sulla maglia della Juventus, mai messi prima. Non c'era neanche un regolamento in Lega e per convincerlo usa più volte la parola sponsorizzazione. A un certo punto Boniperti si gira, dopo Maurizio parlava più di me. Io, io sono sempre zitto, rispetto lui. Lui parlava. Per un certo punto Boniperti lo interrompe. Si volta verso Giuliano, il dottor Giuliano, che era l'amministratore delegato della Juventus, lo guarda e gli dice: "Ma secondo te ci vogliono dare dei soldi o vogliono dei soldi da noi"? E Giuliano risponde: "Secondo me ce li vogliono dare". Vitale interviene e dice, "Ma no, glieli diamo noi" e Boniperti gli fa: "E quanto mi vuoi dare?" - "200 milioni". Boniperti per poco cade dalla sedia. 200 milioni di lire e facciamo la prima sponsorizzazione del calcio italiano. Assolutamente. E sei mesi dopo la Lega fa subito la cosa, poi noi prendiamo subito dopo anche la Roma di di di viola.

Quegli anni lì non era brutta presa

Ah no, aveva appena vinto il campionato la Roma e quindi entriamo perché così tutti vedono e mettiamo: "Robe di Kappa, Robe da campione".

INSERT KAPPA ROBE DA CAMPIONE: Marco Tardelli. Antonio Cabrini. Robe di Kappa, Robe di Kappa, Robe da campioni".

Quindi prima sponsorizzazione italiana a tutti gli effetti. Nell'82 Cabrini sbaglia un rigore in finale, ma l'Italia vince il Mondiale. E tu giustamente prima hai detto però una cosa che cambia la percezione dello sport. L'Olimpiadi dell'84, che non è il Super Bowl, che all'epoca si vedeva poco. Lì c'è un uomo volante in mezzo al Coliseum, allo stadio dell'Olimpiade. È una cosa che sciocca il mondo, non è un'Olimpiade come tutte le altre, però entrando qua ho notato che c'è uno di quei protagonisti che si aggira almeno a livello di immagine qua dentro. È sorprendente vedere che ha scritto Robe di Kappa da qualche parte nella sua vita sportiva. Come fate ad arrivare a Carl Lewis? Carl Lewis è praticamente l'uomo che ha ripreso i record olimpici di Jesse Owens e li ha rimessi nella storia, è un'impresa per pochi esseri umani, forse nessun altro riuscirà mai più a rifarlo. Come fate ad arrivare a questo qua?

Intanto Carl Lewis infatti non è un essere umano.

Ok, diciamo.

Ce n'erano 2 o 3 che nessuno ha mai capito da dove arrivassero, c'era anche Moses, anche... tutti. Quel Dream team era pazzesco. Sì, beh, lì è stata proprio l'escalation che è cominciata da quella vetrina di Athlete's Foot, che poi Cabrini, che poi la Juventus che poi la Roma, che poi l'Ajax, ma l'Ajax è stata molto divertente, secondo me storicamente ha un'importanza.

Cioè Ajax anni '80?

Sì.

Quindi Marco Van Basten vestiva Robe di Kappa.

Sì, fu molto, molto bello perché ricevemmo la classica telefonata che credo che sia uno scherzo, che la segretaria, io ero giovanissimo e avevo già struttura, ufficio, segretaria, ero già... avevo fatto carriera grazie a questa mia intuizione perché l'attività, la linea sportiva ha avuto un boom pazzesco, ma pazzesco, le altre sono sparite, non contava più niente. Vendevamo in tutto il mondo e quindi mi arriva una telefonata. "C'è il presidente dell'Ajax". Dico: "Va bene, ok". Parlo e questo dice: "Ma sì, senta noi abbiamo visto una cosa molto moderna, molto interessante ma sareste interessati a farlo anche con con noi?". E io ero al telefono, non c'era, non ero con Vitale, ero al telefono col presidente dell'Ajax, volevo volare. E io dico: "Perché no? Certo, sarebbe bellissimo siete la squadra più prestigiosa del mondo"

Soprattutto una squadra identificata sull'idea di giovani che giocano un calcio diverso dagli altri. Meglio di così anni fa...

"È molto moderna, molto bella. Mi è piaciuto moltissimo, quello è il futuro"... Sai quelle frasi... "Saresti interessati? Io non ho neanche chiesto a Vitale. Certamente sì, ma l'Ajax dice. E mi fa: "Ma quanto ci offrireste?". 200, l'altro, dico all'Ajax 100, tanto poi si tratta, no? E questo dice:"Va bene". E ho fatto l'Ajax. Pensa oggi gestire una sponsorizzazione del Barcellona, Real Madrid, Ajax, Juventus, lasciamo perdere. Quindi fu un'escalation veloce e a un certo punto conoscemmo un'altra persona in America che lavorava con la Fila e ci disse che per uno strano gioco di politica, soprattutto, c'era un nuovo presidente del Track&Field team, quindi della Federazione di atletica leggera americana che voleva proprio discontinuare tutto. Gli americani volevano fare tutta sta roba nuova. Erano contro il doping, lanciavano i neri all'assalto dell'atletica. E che ne aveva parlato con Fila, ma Fila non aveva colto. Dice no, noi siamo più sul basket, il tennis, veniamo dal tennis. E Vitale dice: "Caspita, no, interessa moltissimo a noi. Ma moltissimo, perché noi Juventus, Roma, Cabrini e poi tutto lo spostamento del budget dalla moda dal '68 allo sport quella l'abbiamo vista un po' come una roba non sarà vero ma andiamo e Vitle andò appunto ad Atlanta ad incontrare Ollan Cassel, due medaglie d'oro alle Olimpiadi [n.d.r. 1 medaglia]. Ex minatore un cattolico, americano, famiglia, con sei figli, una meraviglia lui, una meraviglia la moglie, tutti i figli uno più bello dell'altro, l'avevano scelto in miniera a diciott'anni. Una di quelle storie americane sai, proprio ... credo che sia ancora vivo...

Possono succedere solo a loro.

Solo a loro, Anzi, un po' magari lo fanno anche succedere. Comunque conosciamo questo signore, conosce, io non c'ero, Vitale va ad Atlanta con questo giornalista che lo accompagnava e l'altro gli dice: "Vuoi sponsorizzare la nazionale di atletica leggera americana per le Olimpiadi? Sono qua, io sono d'accordo. Quanto mi offrì?" Molto all'americana, no? Vitale ci pensa un attimo e gli dice: "Io ti faccio un'offerta, però a un unico patto, che se la accetti, mi dici quanto ti dava l'Adidas". Io non c'ero, ma è storia questa e l'altro gli dice: "Ok, il patto è fatto. Quanto mi dai?" E Vitale dice: "1.000.000 di dollari all'anno, più tutta la merce". L'altro non risponde, prende un tovagliolo, tira fuori la penna, scrive 1.000.000 di dollari e gli dice: "Firma". Vitale firma e dice: "Quanto ti dava l'Adidas?". 40.000. Ecco ed è stato il più grande affare della nostra vita.

Sei andato a Los Angeles a vederla.

Non sono andato a Los Angeles a vederla. Io in quel periodo lì ero già dimissionario dell'azienda.

Sei un inquieto di natura?

No, no, no, tutt'altro. Vitale. Vitale si è ammalato e un giorno mi ha preso da parte. Mi ha detto: "Tu te ne devi andare. E perché? Perché io muoio e tu sei giovane e sei in tempo a fare l'imprenditore. Perché sei un imprenditore. E io mi sono dimesso e ho fondato due aziende, una che seguivo io e una che avrebbe seguito di più la mia compagna, che sarebbe diventata madre dei miei due primi figli, a cui lui ha fatto per affetto lo stesso discorso. Quindi lui poi si è ammalato, andò a Los Angeles già ammalato e poi ci lasciò. Ma io nel nel '94 a fine dell''84 lasciai l'azienda andai dal notaio, fondai due aziende e siamo qua.

INSERT STORIA BASIC : "La Basic è un animale sognatore di sicuro, noi viviamo di sogni. L'avete visto nella storia. Se devo fare un esame di coscienza: "Dico che la Basic è un animale profondamente onesto. Siamo onesti, siamo... Siamo dei bravi ragazzi. Sostanzialmente, come tali siamo anche inesperti, ma siamo anche testardi".

Tu ti sei ricomprato praticamente questo posto.

Sì. Io avevo già qualche anno prima... siccome le maglie della Juventus, come ti ricordavo prima, gli avevo messo gli omini, dato 200 milioni di vecchie lire e fine della trasmissione e tutti ci chiedevano se si potevano comprare, avere e noi qualcuna la prendevamo, la omaggiavamo, ma rifacevamo lo stesso per cinque anni, diciamo quattro anni pieni: quelle che servivano alla Juventus gliele davamo e fino della trasmissione, poi facevamo un poster con Cabrini, con Bettega, con Tardelli, con la maglia della Juventus di Robe di Kappa, robe da campioni e tutti contenti. Poi prendevamo la Roma, insomma. E io dicevo a Vitale: "Effettivamente, guarda che ce la chiedono un sacco di gente la maglia. In America vendono cappellini, maglie, giacche a manetta delle squadre dei Lakers ... E lui: "Ma no, ma chi vuoi che compri quella roba"? Fatto sta che un giorno, "Va beh, chi vuoi che compri, provaci", mi disse lui. Non mi aveva ancora cacciato e avevamo fatto questa questo tentativo che era andato molto bene con un volantino e la vendita per corrispondenza. Allora quando Vitale ci dice via, diciamo una ce l'abbiamo, quella: facciamo crescere questa ...azienda... Non c'era niente "Football sport merchandising" e poi ce ne dovevamo trovare una per mia moglie, mia moglie, la mia compagna, la madre dei miei primi figli. E allora andiamo a fare un weekend a Londra. E quel giorno pioveva. Andammo in un negozio, uscimmo, c'era traffico e davanti a noi eravamo in taxi bloccati sotto la pioggia. Mentre eravamo lì, passa una moto con un pettorale, un bauletto, un antenna di una radio che spuntava con scritto "Rapid Delivery", un numero di telefono. "Desk to desk", io vedo quella roba. Mi volto, di fianco c'era Daniela, e dico: "Adesso ho capito cosa facciamo come seconda attività". Siamo tornati a Torino, abbiamo fondato la "Mototaxi" che è arrivata ad avere 26 filiali in Italia, a fare l'intercity, a fatturare una decina di vecchi miliardi di lire e poi quando le cose sono andate avanti è stata venduta alle Poste Italiane, nientepopodimeno che ha acquisito la Mototaxi, ecco.

Ah ecco perché ti han dato la stelletta qui... del Cavalierato del Lavoro. Perché 2 o 3 idee ce le hai avute.

Forse anche per quello il Cavalierato del Lavoro.

Che risale al?

2011.

INSERT CAVALIERATO: Cavaliere del Lavoro Marco Boglione, Abbigliamento, Piemonte. È fondatore e presidente di BasicNet, leader mondiale dell'abbigliamento informale e sportivo con i marchi Kappa, Robe di Kappa, Jesus Jeans.

È il Pallone d'Oro di noi imprenditori. Arrivare in un ventennio, perché quello è il minimo di autonoma responsabilità che l'ordine presieduto dalla Presidenza della Repubblica richiede, più tutte le altre cose, etiche ecc... Comunque devi essere stato in Command per almeno vent'anni.

Questo spazio nasce, anche lui è un po' una storia, mi hai detto tu di andare a ruota libera e quindi... nasce quando ho appena comprato il Maglificio Calzificio Torinese dal  tribunale, perché era fallito, quindi non compravo l'azienda, compravo i cespiti dell'azienda, cioè quello che rimane, che erano sostanzialmente immobile, i marchi e il magazzino. Era era una situazione l'hanno definita in molti modi: la mission impossible del signor Boglione, quello è un morto che cammina, è già fallito prima ancora di cominciare.

Dead man walking

Dead, Broke... Broken man walking.

Broken man...

Broke man walking e dice... Quello ci ha preso gusto, appena fallita, la fa ri-fallire subito, eccetera. Era una situazione abbastanza complicata. In più la mia prima compagna, moglie, madre dei miei due figli, ha approfittato e dice: "Adesso hai la tua azienda, lì ci sono le valigie, vienitele pure a prendere", quindi mi son trovato anche senza casa e mi sono messo a finire classicamente in ufficio sul divanetto dell'ufficio e questo per un buon tre mesi. No? Dormivo, lavoravo, dormivo, mentre acquisito dal fallimento il Maglificio Calzificio Torinese appena fallito. Meriterebbe una puntata solo quello.

Quindi tecnicamente hai ricomprato l'azienda da cui Vitale t'avevo allontanato?

Sì, assolutamente sì. Secondo me mi aveva allontanato anche un po' con quella speranza. È una cosa che... che sogno io, che mi aveva detto: "Non stare qui dentro, se non ci sono io e fai la tua vita". Ma se gli avesse detto: "Poi un giorno la compro e la rilancio come volevi tu", lui mi avrebbe detto: "wow"!

Io ho rilanciato un pezzo dell'azienda, forse due, perché come vi dicevo prima, quando compri da un fallimento compri quello che rimane. Non c'è più l'azienda, non c'è più attività aziendale, non ci sono più dipendenti, ci sono ex dipendenti, non ci sono più clienti, non c'è più niente, è fallita, è chiusa, è in cantina, però ci sono i cosiddetti asset. Quindi, quello che a noi interessava di più era il marchio, in quel ...a quel tempo Kappa. Poi c'erano gli immobili e poi c'era il magazzino, quindi il tema era come rilanciamo il marchio. L'immobile, effettivamente, c'è una storia curiosa anche su quello, ci siamo dentro abbiamo anche inventato qualcosa per delle vecchie fabbriche abbandonate e sostanzialmente le abbiamo ridestinate a un uso plurale, ma non più quello originario e sono diventate dei village, ne abbiamo fatto uno Torino, ne abbiamo fatto uno anche a Milano. Quello che ci interessava però era il marchio: come riportiamo Kappa sul mercato. Allora lì le possibilità erano due: o mi invento qualcosa di nuovo o rifaccio un Maglificio Calzificio Torinese, gli cambio il nome, cambio, ma faccio un'azienda come tutte le altre. Se non che, è un po' l'uovo e la gallina. Ho deciso definitivamente di comprare da questo fallimento gli asset, che comunque non ce li regalavano e io non navigavo nell'oro e quindi mi sono dovuto coprire di debiti su debiti, perché un giorno, come ho raccontato tante volte, sulla mia cultura di base da nerd, ho avuto una sindrome di Stendhal, che ... la seconda era della mia vita, ma che ho avuto quando ho fisicamente letto il protocollo internet, perché noi tra virgolette nerd abbiamo sognato tantissimo quando è iniziato il periodo dei personal computer, quindi della micro informatica e del micro software, perché ci dava un senso di onnipotenza. Potevamo pensare di fare qualunque cosa con queste macchine, qualcuno di noi lo faceva, dei disegni delle dei calcoli c'era una roba bellissima ti dava un potere enorme di sognare però ci fermavamo sempre quando arrivavamo alla Rete. La Rete era la barriera, avevano inventato i primi modem, lentissimi, i protocolli, le schede di trasmissione, i miliardi di protocolli intranet che circolavano, però tutti noi dicevano tanto finché non c'è uno solo di tutti, di proprietà dell'umanità, che non costa niente e che arriva dappertutto, è inutile pensarci. Sono un po' come dire delle seghe mentali pensare che cambieremo il mondo se non c'è la rete, il mondo non lo cambiamo. E il giorno è arrivato. Il giorno è arrivato. Un giorno, una certa ora, un certo giorno. Ne sono stati fatti tantissimi, di protocolli, ne giravano tantissimi. E poi questo Tim Berners-Lee, con questo suo amico al CERN di Ginevra, scrive il protocollo gli dicono tutti Caspita, tu sei diventato l'uomo più ricco del mondo. Lui aveva un buon rapporto con Steve Jobs e lui dice: "No, no, no... Io..." - Non è diventato l'uomo più ricco del mondo, è un uomo ricco, ma non ricchissimo" perché ha detto: "Io lo regalo all'umanità". Allora me l'hanno presentato internet quel giorno lì, che qui arriva sempre ancora un po' tutto in ritardo. Era il '94, era febbraio, credo il 10 o l'8 febbraio del '94. Mi fecero una presentazione dei miei amici, eravamo giovanissimi, ci collegammo con il Politecnico di Torino che aveva un... era diventato provider più che altro sperimentalmente accedemmo a un provider della California, io ero lì un po' perplesso, dico: "Qui siamo su scherzi a parte o cosa?" E poi, finita questa presentazione, insomma, dov'è sto protocollo? E questi ... vi ricordate che quando le prime volte ci si collegava c'era quel cinguettio che era il setting del modem? Si facevano le dichiarazioni: "Ok, ci capiamo, poi partiva la stringa, partiva i dati, ed era quel "pirirpiripiripi" per un attimo, adesso poi non c'è più niente, si è sempre collegati. Allora, lì si apriva una finestra, non so se ve la ricordate sui compatibili IBM, si apriva una finestra, scorreva questo protocollo, da una parte e dall'altra, diceva: "Siamo uguali, possiamo parlare". Si chiudeva tutto e tu eri in linea. Ok, dico: "Fammi vedere sto protocollo" Dice: "Ma l'hai visto, era lì". Lo stampiamo. E io che sono un po' anche io, ero programmatore, diciamo di di prima ora, dico: "Ma di chi è questa roba?". E questi mi dicono: "Di nessuno". "Come di nessuno, Non c'è niente di nessuno. Quanto costa?" E mi hanno detto: "Eh no, è gratis". "Eh - gli ho detto io - gratis... gratis non c'è niente ragazzi, come la paghiamo poi alla fine questa merce?". "Guardi, è gratis". Mi raccontano la storia, io sento venir su un caldo e sudare. Mi siedo e capisco che era cambiato il mondo. Almeno io ho capito in quel momento che il mondo avrebbe potuto cambiare.

Quindi?

Quindi immagino quello, cioè faccio, quello che immaginavo da tanto tempo e che non era un'azienda, era un network, era un sindacato, lo chiamavamo, di imprenditori di tutto il mondo. Un certo numero di imprenditori produrranno il nostro prodotto, un altro numero di imprenditori lo venderanno nei negozi dei loro mercati dalla Corea al Sud America. Noi facciamo, abbiamo, siamo padroni del marchio, facciamo lo stile di tutto quello che quelli producono e quegli altri vendono, lo industrializziamo, gli facciamo la pubblicità e poi diciamo a questi due: "Fais votre jeu", quindi: producete, col nostro know-how, vendete con i prodotti che quelli producono, fate il business tra di voi e pagatemi una tangente, che in inglese si chiama "royalty" su tutto quello che si muove e tutti mi dicono: "Andrebbe benissimo, sarebbe stupendo saremmo veloci, flessibili, imprenditoriali. Ognuno mette i suoi soldi, quindi sarebbe la fine del mondo, ma non funzionerà mai per la complicazione". Noi oggi produciamo 10.000 articoli nuovi all'anno, ai tempi magari solo 3000, ma è complicato il nostro business e io ho immaginato che sarebbe stato complicato fintanto non ci fosse stata una piattaforma, internet based, che in quel momento abbiamo incominciato a costruire, nel '94 e che oggi si chiama Basic net che tratta circa, circa niente, più di 1.000.000.000 di euro di volume, che sono quello che quelli producono e quegli altri vendono e fanno tutto sulla nostra piattaforma. Vent'anni dopo ho scoperto che aveva un nome e che si chiamava Marketplace. Come Amazon, come E-bay, come quelli che mettono da una parte chi produce e dall'altra parte chi vende o chi consuma. Noi siamo un marketplace B to B? Non B to C. Solo che in 25 anni forse sono riuscito oggi a spiegarlo a te.

INSERT MARADONA: "Piacere Kappa!"

Leggenda narra che in questo spazio ci sia stata una partita di campioni del mondo, corrisponde.

Sì, più di una.

Più di una, potresti elaborare?

Ma per due anni. Perché? Perché qui? Ecco,quando mi chiedevi chi è entrato qua? Guarda, non lo so. Una volta ho trovato Merz.

Eddie Merckx?

No, non Eddie, Merz, l'artista

Ah, l'artista.

Che con sua moglie era già anziano. Alle 02:00 vedo uno seduto lì, ma proprio ...vecchio.

E cosa ci faceva scusami?

Eh, la casa era aperta, perché per tanti anni tutto il resto dell'immobile non era ancora stato ristrutturato e io vivevo qua, dopo aver sbaraccato un po' di macchine da tessitura ed essermi fatto fare una casa dentro un loft dove dormivo e una serra il bagno. Questo per sei anni...

Ho notato la serra al bagno, un posto strano.

Stranissimo.

Porta dentifrici c'è Bugs Bunny e Silvestro. Poi c'è l'albero genealogico del jazz, almeno si ferma a Diana Krall, però bello, originale, cioè tu... Tu vivi così, praticamente.

Sì, da trent'anni.

Da trent'anni. Te lo invidio molto. Sono venuti qua a giocare perché li ha invitati o li hai trovati qua i campioni del mondo?

Ecco, appunto. No, no, no, no, li invitavamo. Eravamo amici, eravamo sponsor della Juventus.

Quindi erano campioni del mondo della Juve, quelli.

Tutti della Juve. Poi poi ho passato delle bellissime serate con Maradona qua. Lì c'era un canestro proprio sotto Carl Lewis.

C'era un canestro sotto Carl Lewis?

Sì, lì appoggiato.

Perfetto, e Maradona giocava...

No, Maradona si metteva lì dove c'è... Sotto quella televisione, bello attaccato al muro, uno gli tirava, Coppola e gli tirava la palla.

Guillermo Coppola.

Guillermo! Oh e abbiamo fatto un video, abbiamo foto... Bellissimo, stupendo... E lui lo stoppava col petto, lo calciava e faceva canestro sempre, di lì. E allora lì è stato un momento veramente altissimo, erano le 4, le 5 del mattino... dopo una serata pazzesca per lui era il primo pomeriggio, si era appena alzato. Comunque niente, quel periodo molto bello, dicevo la casa era aperta, quindi entravano e qui come si può vedere ci sono scritte,cioè strisce per terra, segni di sangue come vedi e ... ha tutte le sponde, quindi ha tutta una sponda che gira intorno.

La palla è sempre in gioco praticamente.

La palla se non salta la sponda è sempre in gioco, se salta la sponda è uscita e la devi rimettere in gioco. E i giocatori dovevano essere muniti di calze di lana, quelle da sci di una volta, belle spesse, che quindi è come essere sul ghiaccio qui sopra, il pallone di peluche sgonfio e poi vinca il migliore. Due porticine senza portiere.

Hockey.

Sì, questo, tipo hockey, che si giocava anche a hockey/rollerblade.

Ricordi qualche giocata in particolare? Al di là del canestro.

No, ricordo che lo dicevo prima, nessuno di questi campioni, mi ricordo Torricelli, mi ricordo Del Piero, mi ricordo tutti, Sosa ... Erano i primi due anni della Juventus, '95-'96, quando hanno vinto tutto, tutto... E allora ogni tanto ne arrivava uno, c'erano già i telefonini: "Dove sei? Siamo al Basic Village - che non si chiamava Basic - siamo da Boglione"... E allora arrivavano poco alla volta qui e c'erano queste partitelle e nessuno è riuscito mai a segnare più di due gol, perché chi segnava stava dentro, chi lo prendeva usciva. Però era talmente faticoso che campioni di quel tipo non riuscivano a arrivare al terzo gol tra di loro, eh, tra di loro.

Quante vite hai vissuto sino adesso?

Me lo sono chiesto anche perché ne sto affrontando una nuova. E allora mi son detto: "Ma qual è? La terza, la quarta, la quinta? Ma io credo che ho vissuto l'infanzia.

Sì.

Poi sono nato in collegio, importantissimo, quindi l'adolescenza. Poi ho iniziato la mia vita professionale numero uno.

Quindi ne fanno tre.

Ne fanno tre, poi sono diventato imprenditore,

Fanno quattro.

Esatto. E infatti io dico che è la mia 5ª vita questa qua, perché continuo a fare l'imprenditore, ma più o meno, nel senso che lascio l'impresa della mia vita.

Giusto.

Lascio l'impresa della mia vita, quindi non è che adesso ne faccio un'altra azienda e dici è sempre la stessa storia. No, no, io lascio. Lascio quello per cui ho lavorato tutta la vita ho sognato tutta la vita, tutta la vita intendo da quando avevo 19 anni, che Maurizio Vitale mi ha assunto, che languivo all'università e poi dieci anni con lui e poi dieci da imprenditore in proprio e poi il Maglificio che diventa Basic Net. E poi io che invecchio, io che invecchio, la famiglia che cresce, i figli che crescono anche di numero. E a un certo punto incomincio a confrontarmi su cosa sarà giusto. Non è che può andare avanti così per sempre. E quindi dico qual è la cosa più giusta che devo fare e questo mi capita verso la metà dei miei anni 50, 52-53-54 e capisco che è proprio la cosa più forse non la più facile, ma la più giusta da fare nell'interesse dell'azienda, che è quello a cui ho dedicato tutta la mia vita e i miei sogni, è che vada avanti da sola. Sembrava impossibile. Non da sola, eh, non col pilota automatico, ma senza noi. Senza i fondatori. Quindi non solo me. Altri 25 ragazzi che avevano nel frattempo... arrivavano tutti piano piano ai sessant'anni.

Cioè hai cacciato i sessantenni dal tempio?

Siamo usciti tutti.

Ah, vi siete cacciati tutti.

Ci siamo autocacciati tutti, però spiegando tutto, discutendo tutto, di primo acchito... "No, non è un bene per l'azienda, perché noi siamo una garanzia". Io stesso. Io stesso. Me lo dicevano anche fuori: "Eh, ma l'azienda senza te... quell'azienda sei tu. Si è vero, però sono schiavo io di essere io. E allora c'è l'azienda. Se c'è l'azienda ci sono io, se ci sono io, c'è l'azienda. Ma invece l'azienda potrebbe essere, a differenza degli uomini, capace di rimanere giovane. La gioventù, l'età è un valore e lo è per le aziende, lo è per le persone, lo è per tutti. Quindi è la più grande responsabilità che evidentemente un po'... È un po' contro il proprio interesse, dell'imprenditore nel passaggio della prima generazione, è proprio dimostrare che deve fare un passo indietro, perché se non lo fa, fa fare all'azienda la stessa fine che fa lui.

Interessante. Quindi tu praticamente vivi qua, questa qui è casa tua, quella là è la tua casa da letto. Tu sei un ex nerd che non era così nerd, che è stato dislessico, ma in fondo non se n'è mai accorto e che hai cacciato te stesso e gli altri sessantenni dalla tua azienda. È tutto giusto?

Tutto giusto?

Sei sicuro di essere italiano?

Al 100%?

Benissimo, io vado via con questa.

TITOLI DI CODA

Cabrini ecco, questo qui è stupendo. Un pullover di ricordi. Gabriele...

Marco Tardelli.

Marcolino.

Marcolino.

Marcolino e Antonio... Culo e camicia eh...

La più bella foto di Diego Maradona l'ho fatta io, di sicuro, al mondo, con gli occhi verdi, Che Guevara e il pallone da strada. Fine della trasmissione.

A posto.

Lui ha fatto lui, Villeneuve e Trapattoni. Toscani. Con questa impostazione qui. Qui la Juve aveva appena vinto il campionato, qui questo aveva appena vinto il campionato e siamo usciti con la campagna di affissione. Questo è ancora Toscani. Quindi qui c'è la grande qualità.

È incredibile. I neri non volevano il grigio perché era il colore dei confederati. Hai capito? Allora noi abbiamo detto riflettiamo, ma sul rosso però i lungometristi erano tutti bianchi. E allora abbiamo fatto... Abbiamo fornito a tutti i bianchi il grigio e a tutti i neri il rosso. Ed è stato un successo pazzesco, che ci ha portato a esplodere in America. Questa è quella di Bettega, deve avere il numero 11... Esattamente. Qui c'è solo una stella e c'è... E questa è del '78. È la prima maglia a cui noi abbiamo applicato gli omini. Non la facevamo noi ed era stata rivoluzionaria, inventata da Boniperti, che giocava con le casacche. Quando erano in area, siccome era tessuto e non maglia, la casacca era una camicia, fatta di tessuto. Andavano in area e il difensore acchiappava Boniperti così e non si muoveva più Boniperti, eh, perché è come con questa giacca, prova a saltare...

Eh, sì certo... non salti.

si è fatto fare da un tifoso juventino una maglia che poi noi trent'anni dopo abbiamo chiamato Combat e l'abbiamo fatta nostra. Ma questa è del '70!

Tiriamo fuori questo capolavoro. Caratteristiche tecniche: diciamo un tessuto ... diciamo particolarissimo, ma soprattutto con 60 centimetri, prendila... ecco questa qua...

] Stop stopping, cioè il giocatore va avanti e non lo ferma l'avversario. Nel calcio la trattenuta è fallo, quindi l'arbitro, se la vede, non può fare niente altro che tirar fuori il cartellino, se no può far finta di non vederlo. E poi 100% Italia...

E poi avevano fatto un po' di affissioni. Ce le hanno tolte tutte. "Questa pubblicità insulta la donna". Questa... C'era la censura in Italia e c'era la Sipra appunto. Ce l'hanno bannata dappertutto e per noi è stata la più grande sfida.

Meglio di così non puoi farcela.

C'era una legge.

Eh Sì.

Sì, e com'era?

Offendeva il comune senso del pudore, certo.

Il comune senso del pudore.

E c'era la legge.

Che era l'ideale per te.

Ah, perfetto. Se non la rivedevano, eravamo tutti in galera ancora adesso.



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