In principio era il jeans (e basta). Poi venne lo Jesus che spaccò in due il pubblico con la pubblicità un po’ blasfema: “Non avrai altro Jesus all’infuori di me”. L'anno scorso stesso miscuglio di sacro e profano: “Chi mi ama mi segua” scritto sulle “pacche” di una solida ragazza. Quest’anno il consesso dei “saggi” ha lanciato il nuovo motto: “la voglia di andare” nella stessa posteriore posizione del 1974. Anche la immagine che reclamizza i jeans “made in Torino” ha subìto una lieve metamorfosi con l’intrusione di uno spazzolino da denti ficcato nella tasca del retro. Chi è la mente che studia la psicologia di massa per spingere le brache più diffuse del mondo (almeno fra i minori di 40 anni)? Oggi i fabbricanti di jeans italiani sono 1035, la produzione supera i 15 milioni di pezzi all’anno, il volume d’affari ha cifre da capogiro. Dall’Italia si esporta in tutto il mondo e da qualche mese anche in America, paese natale dei jeans. Emanuele Pirella, che è l’ideatore degli “storici” slogans, lavora in una grossa agenzia milanese gestita da giovani operatori culturalcommerciali e si occupa di pubblicità da dieci anni. Scrive testi per fumetti di satira politica disegnati da Tullio Pericoli (che appaiono su Linus) e recentemente ha pubblicato un libro, Uhg! Ho detto. Pirella è alla sua terza campagna «Jesus»; il primo anno, in tempo di reviviscenze cristologiche, venne fuori «Non avrai altro Jesus fuori di me», l’anno successivo, puntando sulla componente erotica, «Chi mi ama mi segua»; quest'anno, superando le tentazioni di continuare a spese dei dieci comandamenti (sono stati scartati per esempio «lo credo in un solo Jesus» oppure «Non desiderare lo Jesus d'altri»), è stato scelto un richiamo diverso da quello ormai inflazionato della sessualità aggressiva. E' stata scelta la libertà . Anche perché, spiega Pirella, « i jeans ormai non hanno più niente a che vedere con la contestazione» e la contestazione stessa oggi probabilmente non si presta più a visioni colorate e spensierate. Abbiamo domandato a PirelIa: «Che c'è nella réclame dello spazzolino?». «Quasi niente -ha risposto- di tutto quello che un fiume di i immagini ci ha insegnato a considerare gradevole, soddisfacente dal punto di vista del prestigio o del piacere personale negli anni scorsi. Non c’è, s’è visto il sesso; non c’è la coppia, la famiglia, la bellezza fisica, il lusso, le facili relazioni sociali: c'è un signore che va, solidale con se stesso, e basta». Una moda, un fatto di costume. Il simbolo della nostra epoca. Certo, un grosso affare commerciale. A Torino il Maglificio Calzificio Torinese che produce i jeans “Jesus” ha concluso accordi con 400 clienti americani, ha aperto un ufficio a New York e prevede che entro l’anno verranno esportati negli Stati Uniti “pantaloni di tela” per un miliardo di lire. L’industria torinese è la più importante nel settore: oltre 600 dipendenti, un fatturato che in due anni, da quando ha abbandonato l’attività tradizionale (per mezzo secolo aveva prodotto solo calze e maglieria intima) per affrontare quella dei jeans è salito da tre a dodici miliardi. A che cosa è dovuto il successo dei jeans? Spiega il presidente della ditta, Giuseppe Lattes: «Il vero abbigliamento di massa oggi non è più il “formale", il tradizionale, ma il “casual”. Questo è uno dei motivi. Un’altra ragione del successo sta nel prezzo: per fare una giacca occorrono otto ore di lavoro, per un paio di jeans bastano 13 minuti”. Per il direttore della Jesus, la diffusione dei jeans è solo agli inizi. La categoria degli studenti ormai veste solo «casual». Così, quelli che vivono o lavorano all'aria aperta. Chi è costretto a vestire «formal» per motivi tradizionali di lavoro compera i jeans per il tempo libero. Ma verrà un giorno, prosegue il direttore, in cui l'abbigliamento, «casual» entrerà anche nella vita ufficiale. Cinque anni fa non si poteva neppure pensare di entrare in banca e trovare degli impiegati in maniche di camicia. Oggi ciò è normale. Ma hanno ancora la giacca appesa vicino alIa scrivania. Bisogna salvare, in qualche modo la forma, la tradizione. Domani -c'è chi assicura- andranno a lavorare in jeans, è solo questione di tempo: i tabù -anche quelli dell'abbigliamento- sono duri a morire.
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